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Il Medioevo fra noi

Di Valeria Palumbo

Credo di aver scoperto un importante frammento medievale. Il posto è insolito, il Magazine del Corriere della Sera del 9 settembre 2010. L’autore, Antonio D’Orrico, noto, credo, solo ai papirologi, si è però distinto (o è un suo omonimo?) per alcuni singolari giudizi letterari da alcuni, forse affrettatamente, definiti “clamorose cantonate”. Che il frammento, dedicato alla mancanza di talento delle donne nelle lettere, sia medievale lo deduco da elementi stilistici e di contenuto: ignora due poetesse del calibro di Saffo (quindi è stato composto prima che si ricominciasse a leggere il greco) e Sulpicia (ovvero attribuisce forse ancora a Tibullo i suoi versi). Non sa delle memorie perdute ma lodatissime di Agrippina. Ignora la battaglia di Christine de Pizan (1362 - 1431 circa) per diventare “femme de lettres” (diventò “homme de lettres” perché all’epoca lo scandalo di una donna scrittrice era giudicato eccessivo). Non sa nulla della valanga di scrittrici di valore che attraversarono il nostro Rinascimento, il Seicento e il Settecento e che oggi vengono sempre più scoperte e rivalutate, dalla poetessa Gaspara Stampa alla commediografa Aphra Behn (che ebbe il coraggio di sfidare l’equazione tipica dell’epoca: donna che pubblica uguale puttana, donna che scrive per il teatro uguale puttana al quadrato). E ripete stilemi misogini della Querelle des femmes che si sono esauriti da secoli. Unico elemento distonico: l’autore cita con accenti positivi Jane Austen. Ma anche in questo caso potrebbe trattarsi di un’omonima, anche perché, da George Eliot, che ha scritto un capolavoro come Middlemarch, a Mary Shelley, inventrice di Frankenstein, ignora tutte le grandi scrittrici britanniche a lei contemporanee. Non parliamo dei periodi successivi: D’Orrico evidente non può sapere che gli ultimi Nobel per la letteratura siano andati spesso a donne, da Nadine Gordimer (1991) a Elfriede Jelinek (2004), da Doris Lessing (2007) a Herta Müller (2009), da Toni Morrison (1993) a WiesÅ‚awa Szymborska (1996). Diamo per scontato che non sappia nulla di scrittrici come Marguerite Yourcenar, Virginia Woolf, Katherine Mansfield, Christa Wolf. Nè di poetesse come Anna Achmatova, Marina Cvetaeva e Renée Vivien. Anche perché, per vincere il premio come migliore poeta dell’anno, nel 1902, la povera Renée dovette trovarsi un nome maschile, esattamente come fece Karoline von Günderrode che dovette pubblicare come Tian e accettare, dopo le grandi lodi inziali, gli insulti di chi scoprì che non era un maschio. Che perfino in tempi moderni, J.K. Rowling abbia dovuto ricorrere allo stesso mezzuccio perché se no gli editori non la volevano, il buon amanuense D’Orrico non poteva proprio saperlo. Il fatto che alcune sue fan (del succitato D’Orrico) di sesso femminile gli diano ragione può non essere determinante nella datazione: potrebbero risalire anche loro al Medioevo, nonostante l’uso dell’email (forse una cattiva traduzione del termine?). O più semplicemente, come sospettiamo, potrebbero avere, in quanto fan, lo stesso difetto del D’Orrico: scarsa memoria (o scarse letture?). Poiché le righe sono contate e le scrittrici di talento un’infinità, concludo quest’inutile pagina (risposta di una colonna inutile ma apparsa ahimé su un giornale autorevole) con un paio di suggerimenti tra le ultime uscite “femminili”. Non al D’Orrico che, se le mie ipotesi di datazione sono corrette, è ormai estinto. Ma a chi ama la buona letteratura: leggete Rosamund di Rebecca West (Mattioli 1885) che fa parte di una bellissima trilogia e racconta molto bene che vuol dire essere donne e artiste. Affrontate la dura Natsuo Kirino de L’isola dei naufraghi (Giano). E due italiane che non saranno Stendhal ma sono molto meglio di Giorgio Faletti, adorato dal nostro D’Orrico: Licia Giaquinto con La ianara (Adelphi), e Michela Murgia con Accabadora (Einaudi). E poi, tanto per capire come, in molti Paesi (in Italia, fra gli altri) alle donne non è stato solo vietato di scrivere e pubblicare, ma perfino di leggere, date un’occhiata a Le cose che non ho detto dell’iraniana Azar Nafisi (Adelphi). Il nostro medievale d’Orrico, sempre se la mia tesi è corretta, deve necessariamente ignorare che oggi le scrittrici sono in primo piano perfino nella lontana ed esotica Persia, che le lettrici sono da tempo in maggioranza e le donne editori aumentano a vista d’occhio. Però non dirò (come sotto sotto credo) che sia giunto il momento in cui, anche nei grandi e autorevoli giornali, i critici di sesso maschili cedano il posto alle colleghe dell’altro sesso. Mi basterebbe che le incrostazioni medievali, e i loro intarsiatori, cedessero il passo ai giornalisti del XXI secolo.