Donne in quota

L'amica Valeria Palumbo sulle "quote rosa" nei teatri.

 

Troppe poche donne ai vertici dei teatri. Chiediamo che siano assunte misure per assicurare le pari opportunità a dirigenti, registe e autrici.

Il ministro dei Beni e delle Attività Culturali, Massimo Bray, ha partecipato sabato 19 ottobre all'incontro, nell'ambito del progetto Le Buone Pratiche del teatro, dal titolo "Valore cultura. Dal decreto legge ai decreti attuativi". L'appuntamento, organizzato dall'associazione culturale Ateatro e dalla Fondazione Cariplo, si è tenuto presso il Centro Congressi Fondazione Cariplo di Milano.

Quando, il 12 settembre 2012, Monica Gattini Bernabò fu nominata direttore generale della Fondazione Milano, l’assessore alle Politiche per il lavoro di Milano, Cristina Tajani, salutò l’avvenimento sostenendo che la nomina fosse in linea con le scelte della Giunta Pisapia che «ha dato impulso alla parità di genere nei ruoli dirigenziali».

Parole sentite molte volte. E quasi sempre con un effetto limitato, perfino a Milano, che pure, nel campo, è una città avanzata. La pioggia di nomine di donne ai vertici delle istituzioni culturali non c’è stata. Né in Lombardia, né, tanto meno, altrove. Non c’è stata nei teatri di prosa, in particolare. E figuriamoci in quelli lirici: nessun nome femminile è stato seriamente preso in considerazione nel 2013 per il posto di sovrintendente alla Scala, teatro per altro che ha atteso 233 anni per far salire una donna, Susanna Maelkki, sul podio, a dirigere un’opera (è successo nel 2011 e ancora lo si racconta). Né si è ancora visto un programma culturale solido per la Casa delle donne, che, varata a giugno 2013, è, a tutt’oggi, invisibile.

Eppure nel 2006 un’ondatina di nomine di donne, negli enti lirici, c’era stata: il ministro dei Beni e delle attività culturali Francesco Rutelli aveva scelto, tra 18 consiglieri dei maggiori enti lirici, ben 11 donne. Il Corriere della Sera le definiva, con granitico paternalismo, «signore con un curriculum di tutto rispetto». Ci mancherebbe. Peccato che molte con la lirica e il teatro non c’entrassero nulla. La prima della lista era stata Gigliola Cinquetti, la quale si era affrettata a condannare le quota rosa e ad affermare: «Spero che il ministro non ci abbia scelto solo perché siamo donne». Quasi fosse una colpa (mai sentita pronunciare la frase: «Spero che il ministro non ci abbia scelto solo perché siamo uomini»).

Era una falsa partenza. Un anno dopo, nel 2007, sulla Repubblica, Rodolfo di Giammarco salutava la nomina di Giovanna Marinelli al vertice del teatro di Roma, sostenendo: «è non solo un avvenimento “tecnico” ma anche un segnale di apertura in uno scenario che conserva per tradizione un’identità maschile…». Peccato che invece era proprio un “avvenimento tecnico” (evidentemente, di nuovo, quelli maschili non lo sono), perché non ebbe seguito. E il trionfale titolo della stessa Repubblica, Donne di teatro: vincenti se riusciamo a fare squadra, risultò addirittura beffardo: per fare una squadra ci vuole un numero congruo di persone.

Non a caso Repubblica registrava: «tuttora le responsabili di organismi pubblici o privati di teatro, così come le registe di spettacoli, si contano, se badiamo a una media visibilità, sulle dita di una mano». Resta ancora vero.

A essere sinceri è vero anche in Francia, che sulle pari opportunità è in genere molto più avanti dell’Italia. Il punto è che dopo aver denunciato: «Il mondo della cultura è una fortezza maschile», la ministra della Pari opportunità, Najat Vallaud-Belkacem, ha chiesto di applicare le quote rosa negli incarichi direttivi degli enti culturali. Le cifre francesi? L’88% dei direttori di teatri stabili sono uomini, solo il 3% dei concerti o spettacoli è diretto da donne e solo il 20% dei testi rappresentati sono di autrici.

In Italia, come è stato rivelato lo scorso 28 settembre al convegno nazionale di Pordenone L’arte delle donne, organizzato con la Commissione regionale per le pari opportunità, va peggio.

Per questo chiediamo al ministro Massimo Bray di inserire nei decreti attuativi del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito in legge il 3 ottobre 2013,

una norma che imponga di osservare l’equilibrio di genere, ovvero di garantire un’adeguata presenza femminile nel complesso dei livelli gestionali direttivi e nelle scelte di programmazione: CdA, direzioni e dirigenze organizzative e amministrative, direzioni artistiche, regie e drammaturgie.

Inutile ripetere la raccomandazione di tutti i maggiori istituti internazionali: per uscire dalla crisi occorrono molte più donne ai vertici.

E ci permettiamo di concludere con un invito: sarebbe il caso di intitolare alle donne i teatri. Non solo alle attrici, per quanto del talento di Eleonora Duse, ma anche alle autrici e alle registe. Ci aspettiamo dunque presto che tale riconoscimento sia dato a Franca Rame e Natalia Ginzburg. Solo per fare due esempi, ovvio.

Grazie

di Valeria Palumbo

 

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