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- Categoria: Violenza
- Pubblicato: 16 Giugno 2010
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A chi fa comodo un “santo” assassino?
di Valeria Palumbo «Vi era una donna allora in Alessandria», narra la Storia ecclesiastica di Socrate Scolastico, un avvocato alla corte di Costantinopoli, che scrive tra il 439 e il 450, «il cui nome era Ipazia. Costei era figlia di Teone, filosofo in Alessandria, ed era giunta a un tale culmine di sapienza da superare di gran lunga tutti i filosofi della sua cerchia, ... (e da) esporre a un libero uditorio tutte le discipline filosofiche [...]. Da ogni parte accorrevano a lei quanti volevano filosofare». I tempi non erano tranquilli: i cristiani distruggevano i templi pagani e ne uccidevano i fedeli. Ebrei e pagani venivano accusati di vendette. Come risposta, scrive Socrate, i parabalanoi del vescovo della città, Cirillo, scatenarono una vera caccia all’ebreo: «Gli ebrei che dal tempo di Alessandro il Macedone abitavano questa città dovettero allora tutti emigrare, spogliati dei loro beni, e si dispersero chi qua, chi là». Chi erano i parabalanoi? Un corpo di “infermieri-barellieri”, chierici in realtà, che costituivano la milizia privata del vescovo di Alessandria. Suida, un’enciclopedia storica bizantina del X secolo, li definisce «esseri abominevoli, vere bestie». «Un giorno» si legge in Suida, «accadde al vescovo dell’opposta setta, Cirillo, mentre passava dinanzi alla dimora di Ipazia, di scorgere una gran ressa dinanzi alle sue porte [...] Avendo domandato che cosa mai fosse quella folla, e il perché di un tale andirivieni attorno a quella casa, si sentì dire che era il giorno in cui Ipazia riceveva, che sua era la casa. Ciò appreso, Cirillo si sentì mordere l’anima: fu per tale motivo che organizzò ben presto l’assassinio di lei, il più empio di tutti gli assassinii». Si afferma in Suida: «Una moltitudine di uomini imbestialiti piombò improvvisamente addosso a Ipazia un giorno che ritornava a casa come suo solito». La figlia di Teone fu tirata giù dalla lettiga e trascinata «alla chiesa che prende il nome dal cesare imperatore» e cioè nel cortile del Cesareo di Teodosio. Qui, «incuranti della vendetta e dei numi e degli umani questi veri sciagurati massacrarono la filosofa», scrive il filosofo alessandrino Damascio (le sue parole sono state tramandate in Suida), «e mentre ancora respirava un poco le cavarono gli occhi». «La spogliarono delle vesti, la massacrarono usando cocci aguzzi, la fecero a brandelli. E trasportati quei resti al cosiddetto Cinaron, vi appiccarono fuoco», sottolinea Socrate. «I pezzi del suo corpo brutalizzato vennero sparsi per tutta la città...» Io non aggiungo altro (Cirillo ne ha combinate tante). Mi limito a riportare le parole dell’attuale Papa, Benedetto XVI, nell’udienza generale in piazza san Pietro di mercoledì 3 ottobre 2007 (il testo integrale è sul sito del Vaticano): Cari fratelli e sorelle, anche oggi, continuando il nostro itinerario che sta seguendo le tracce dei Padri della Chiesa, incontriamo una grande figura: san Cirillo di Alessandria. Legato alla controversia cristologica che portò al Concilio di Efeso del 431 e ultimo rappresentante di rilievo della tradizione alessandrina, nell’Oriente greco Cirillo fu più tardi definito «custode dell’esattezza» – da intendersi come custode della vera fede – e addirittura «sigillo dei Padri». ... Egli si inserisce volutamente, esplicitamente nella Tradizione della Chiesa, nella quale riconosce la garanzia della continuità con gli Apostoli e con Cristo stesso. Venerato come Santo sia in Oriente che in Occidente, nel 1882 san Cirillo fu proclamato Dottore della Chiesa dal Papa Leone XIII, l’ancora giovane Cirillo nel 412 fu eletto Vescovo dell’influente Chiesa di Alessandria, che governò con grande energia per trentadue anni, mirando sempre ad affermarne il primato in tutto l’Oriente, forte anche dei tradizionali legami con Roma...” Un lungo discorso, nel quale Ipazia non è neanche citata. Figuriamoci. Ma che ha molto a che fare con la politica (ciò che conta è solo il primato della Chiesa di Roma). Cirillo ha le sue (gravissime) colpe, ma non ne ha ancora di più una Chiesa che 1.600 anni dopo (e molti assassinii e roghi dopo) continua a giudicarlo santo? Allora, basta: riprendiamoci il 27 giugno. Dedichiamo la giornata al libero pensiero. A Ipazia e a tutte le donne “condannate” in nome di un dio (quale che sia il suo nome) o troppo stupido per capirne il valore... o così intelligente da intuire quanto una donna libera sia pericolosa per qualsiasi forma di integralismo e sopraffazione. Aggiungo anche l’invito che Sinesio di Cirene, allievo di Ipazia e poi vescovo di Tolemaide (all’epoca usava...), faceva alla sua venerata maestra: «Tu hai sempre avuto potere. Possa tu averlo a lungo, e possa tu di questo potere fare buon uso». Vale per tutte le donne, oggi.