Donne in quota

Donne e pubblicità: l'anonimo milanese su Arcipelago Milano del 9 Ottobre

Care amiche che avete sottoscritto l’articolo: “Donne, pubblicità, normalità …” apparso su ArcipelagoMilano del 2 ottobre. Ringraziandovi per l’interesse verso il lavoro e l’impegno di questo Consiglio Comunale che ha, in poco tempo, approvato alcune delibere di “civiltà” (Istituzione del Registro delle Coppie di Fatto – Dichiarazioni di fine vita – Impegno contro la pubblicità sessista), voglio chiarire alcuni equivoci presenti nel vostro scritto.

La Commissione Pari Opportunità di cui sono Presidente ha lavorato dal primo giorno con l’obiettivo di fare, di una commissione negletta (senza assessorati di riferimento e, quindi, senza portafoglio) un luogo di confronto con le associazioni lgbtq e le donne di Milano, oltre che di iniziative da condividere col Consiglio Comunale, per far diventare la nostra città più democratica e partecipata.

Una “Città delle donne” come quella auspicata nel programma elettorale votato dalla maggioranza delle cittadine e dei cittadini. Dalle assemblee semestrali che affollano la sala Alessi sono nati i Tavoli delle Donne attraverso i quali decine e decine di donne continuano a lavorare sulle tematiche ritenute prioritarie: Salute, Lavoro, Spazi. Non sempre le proposte emerse dai tavoli hanno trovato una risposta dalla Amministrazione,  ma interlocuzione sì. Un primo risultato è stata l’istituzione della Casa delle Donne che verrà inaugurata ufficialmente tra poco.

Progetti di riuso del territorio, di politiche di conciliazione, di indagine e rilancio dei consultori pubblici sono tuttora in fase di confronto anche a livello nazionale. In questi due anni i Tavoli delle Donne sono stati indubbiamente una delle esperienze più avanzate di quella partecipazione che era alla base del programma elettorale di Giuliano Pisapia. Se cambiare è difficile per ognuna di noi, individualmente, possiamo immaginare quanta fatica richieda provare a cambiare un’istituzione invadendola con i nostri corpi che esprimono bisogni, progetti, richieste.

La legge elettorale che ha cambiato le forme della rappresentanza comunale (dando molto peso alla Giunta in rapporto al Consiglio degli/delle eletti/e dai cittadini) costituisce spesso un ostacolo per una relazione più fluida tra consiglieri e giunta comunale. A questo punto vorrei chiarire un equivoco: è vero che si è lavorato molto in Commissione Pari Opportunità e con numerosi interventi in Consiglio Comunale perché la nostra città si impegnasse in una forma di “vigilanza” relativa alla pubblicità sessista e spesso volgare e degradante. L’attenzione continua sul grave fenomeno di mercificazione del corpo umano, anche attraverso la pubblicità, ha certamente spinto la giunta a stilare una delibera sugli “Indirizzi fondamentali in materia di pubblicità discriminatorie e lesive della dignità della donna”.

Ripeto: Delibera di Giunta (e bastava leggere le firme in calce alla stessa) e non di Consiglio Comunale. Come Presidente della Commissione Pari Opportunità ho saputo di questa delibera come tutti e tutte, solo quando è stata pubblicata. Non la conoscevo in tutti i suoi punti. Solo quando sono stata interpellata da Radio Popolare mi sono resa conto della pericolosità dei contenuti del punto 2) che voi giustamente stigmatizzate. Il testo che allude a “le immagini … devianti da quello che la Comunità percepisce come “normale” tali da ledere la sensibilità del pubblico” mi ha fatto sobbalzare.

Ho una storia di femminista e lesbica che ho rivendicato fin dal mio primo intervento in aula consigliare, forse anche per questo sia il termine “normale” che il termine “Comunità” mi evocano immagini regressive. Nel vocabolario Treccani, accanto a questo termine, si legge: “Insieme di persone che hanno comunione di vita sociale, condividono gli stessi comportamenti e interessi”. Nel dizionario Hoepli: “Insieme di persone aventi in comune origini, tradizioni, lingua e rapporti sociali in modo da perseguire fini comuni”.

Una società è chiamata quindi “comunità” se i suoi componenti hanno gli stessi interessi e fini ma per me una società democratica non è una “pappetta omogeneizzata”: è attraversata da interessi e visioni differenti che producono conflitti perché la sua ricchezza è data proprio dalla sua capacità di tenere assieme le diversità.

Appena letto il famigerato punto 2) ho manifestato le mie perplessità e dissenso. Forse quello che mi posso attribuire è il fatto di aver accolto la risposta che mi è stata data: “Ma no, non è una frase pericolosa, è una formula giuridica che non ha lo scopo di discriminare le diversità”. Ecco, forse avrei dovuto aprire un conflitto nei confronti di chi ha steso gli “indirizzi”. Ma ne apro ogni giorno e, come sapete, non è né facile né leggero confliggere tra donne.

Questo è quanto. I conflitti (sani, sanissimi) sono il sale della democrazia e talvolta, con la preoccupazione di “proteggere” una giunta con cui condivido un percorso, ho sottratto un po’ di sale alla dialettica necessaria e utile affinché la nostra amministrazione diventi sempre più democratica e … sapida.

Anita Sonego

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